I SOFISTI

                   I SOFISTI

I sofisti possono essere considerati i primi insegnanti a pagamento della storia. Con i sofisti l'esercizio del sapere inteso come il diventare un mestiere, un lavoro a pagamento che essi esercitano spostandosi da un luogo all'altro in cerca di discepoli, circostanza che tra l'altro consente loro di acquisire una mentalità aperta e cosmopolita, rendendoli consapevoli della molteplicità dei costumi e delle credenze delle varie civiltà.


IL PROGETTO EDUCATIVO DEI SOFISTI

Il loro fine principale è quello del sapere, inteso come unico fondamento della virtù. Non della virtù guerriera, cioè la capacità di mostrare in battaglia le migliori qualità fisiche e spirituali, tradizionalmente congeniale alle classi aristocratiche e conservatrici, ma una virtù adatta al nuovo clima culturale e al nuovo ambiente cittadino caratterizzato dalla democrazia. La nuova virtù coincideva essenzialmente con la capacità di vivere in società, di saper partecipare ai pubblici dibattiti, di essere in grado di convincere gli altri della propria idea, di assumere decisioni rapide e condivisibili. Una virtù, dunque, che da una parte comportava il confronto civile e politico e, dall'altra, la padronanza ampia e sicura del linguaggio e della parola, strumenti essenziali in quanto capaci di mettere in grado l'individuo di parlare in pubblico per rappresentare i propri interessi, farsi ascoltare, dare e richiedere ragioni. 


PROTAGORA

Protagora è il pensatore più originale del movimento, famoso in tutta la Grecia per la sua straordinaria eloquenza. A lui la tradizione attribuisce la celebre affermazione secondo la quale «L'uomo è misura di tutte le cose; delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono». Diverse sono le interpretazioni che si possono dare di questa frase, a seconda del significato che viene attribuito al termine "uomo". In primo luogo, "uomo" può essere inteso come l'individuo singolo e, dunque, l'affermazione del sofista significherebbe che le cose appaiono diverse a seconda dei punti di vista soggettivi: un'azione che a una persona sembra buona, all'altra appare cattiva; un cibo che per qualcuno è saporito, a qualcun altro risulta disgustoso. È probabile che Protagora ritenesse complementari questi punti di vista, riconoscendone la validità a seconda della prospettiva considerata:"uomo" - sia esso inteso come individuo, come genere umano o come popolo - è il criterio di giudizio della realtà o irrealtà delle cose, del loro modo di essere e del loro significato. Ciò che emerge dal frammento protagoreo è dunque una visione relativistica: non esiste una verità assoluta, valida per tutti, ma si devono ammettere diverse interpretazioni delle cose e dei fenomeni a seconda del punto di vista: la verità è dunque "relativa" a colui che giudica nell'ambito di un determinato contesto. Protagora non intende affermare una posizione scettica, secondo cui non si deve credere a nulla. Egli vuole sottolineare più semplicemente che occorre rapportare ogni conoscenza al soggetto e ogni abitudine o credenza alla comunità politica cui quest'ultimo appartiene.


IL POTERE DELLA PAROLA

Nella prospettiva teorica appena delineata, la tematica del linguaggio assume un'importanza particolare. Secondo Protagora tale criterio è rappresentato dall'utile, inteso come ciò che si concorda essere il bene del singolo e della comunità. In tale ottica la parola assume un ruolo di fondamentale importanza come strumento per raggiungere il consenso.C'è però il rischio che la parola diventi strumento di potere dei gruppi più forti, in grado di far prevalere il proprio parziale interesse nell'assemblea, e per questo Protagora ribadisce che è indispensabile proporsi come obiettivo costante il benessere generale della pólis. A questo proposito Aristotele ci riferisce che Protagora insegnava a «rendere più forte l'argomento più debole», interpretando tale capacità come una spregiudicata volontà di sostenere qualsiasi ingiustizia o iniquità.Come abbiamo detto, Protagora afferma di perseguire l'utilità comune, cui indirizza l'insegnamento della retorica, cioè l'arte di persuadere l'uditorio mediante un linguaggio chiaro, semplice e convincente. Il metodo protagoreo - o metodo dell'"antilogia" - si fonda sul presupposto che su ogni cosa sia sempre possibile addurre argomenti a favore e contrari. In questa accezione il suo metodo tendeva a esaltare i valori della comunità umana. 


La politica come "tecnica di tutte le tecniche"

Le tecniche, tuttavia, non basterebbero da sole a garantire la sopravvivenza del genere umano se non si fosse sviluppata anche la «tecnica di tutte le tecniche», cioè la politica. Come si legge nel mito di Prometeo narrato nel dialogo, tale tecnica deve essere posseduta indifferentemente da tutti gli uomini.


GORGIA

La frattura tra il linguaggio e le cose

Il relativismo dei valori comportava come conseguenza inevitabile la possibilità di avere due o più punti di vista differenti su un medesimo avvenimento. Se, come abbiamo detto, un'azione può apparire virtuosa agli occhi di alcuni e malvagia a quelli di altri, se ne deve dedurre che è possibile, su quella medesima azione, costruire più di un discorso. Il sofista siciliano Gorgia, portando alle estreme conseguenze il relativismo culturale e andando oltre la posizione in un certo senso ancora moderata di Protagora, si fa interprete convinto di questo principio: sganciato da ogni criterio di verità di tipo universale, il discorso è tutto. E in questo contesto che si devono collocare le tesi paradossali del sofista, il quale giunge a sostenere una forma di «scetticismo metafisico» secondo cui non esiste nulla di oggettivo; se anche le cose esistessero, non sarebbe possibile, per l'uomo, né conoscer-le, né pensarle, né comprenderle; se anche fossero conoscibili, non potrebbero essere comunicabili agli altri, perché il mezzo di comunicazione è la parola, In questa prospettiva, il ruolo che Socrate si riconosceva non era certo quello del saggio o del maestro: egli non intendeva l'istruzione come un trasferimento di concetti e nozioni dalla mente dell'insegnante a quella dell'alunno - nulla era più estraneo al modello educativo socratico di questa visione passiva della didattica -,bensì come uno strumento per aiutare a riflettere e trovare una soluzione personale ai problemi.


LA NUOVA CONCEZIONE DELLA VIRTÙ

Da quanto abbiamo esposto si evince che l'indagine socratica sfociava sostanzialmente in un insegnamento confutatorio, tendente cioè a dimostrare l'infondatezza delle tesi e dunque l'ignoranza di chi pensava di essere competente e sapiente, senza realmente esserlo. Anche il concetto tradizionale di «virtù», intesa come prestazione d'eccellenza in un campo particolare - la virtù militare, navale, artistica... -, tende ora ad acquistare un carattere più generale. Nella società guerriera arcaica la virtù si identificava con il coraggio e l'eroismo; nella società più matura del V secolo, la virtù diventa qualcosa di più complesso. Convinzione di Socrate è appunto che le singole virtù, o competenze, non bastino per realizzare una vita davvero soddisfacente e che sia necessario raggiungere una visione unitaria della virtù, che si identifica con la filosofia stessa, ossia con quello che si può definire - nello spirito del socratismo - un vero e proprio stile di vita, votato alla ricerca. 


LA VIRTÙ È CONOSCENZA

Socrate afferma che chi conosce il bene non può commettere il male, ritenendo che la virtù morale derivi dalla retta consapevolezza del bene.Un'azione giusta è frutto di giusta conoscenza; un'azione immorale scaturisce da errore e ignoranza. Gorgia asserisce che:
• l'essere non esiste perché la sua esistenza implicherebbe una serie di contraddizioni logiche, come dimostra il fatto che le opposte tesi dei filosofi naturalisti si annullano reciprocamente;. Egli, dunque, riconosce che è impossibile affermare una verità assoluta intorno all'es-sere, perché l'uomo non possiede strumenti conoscitivi ed espressivi adeguati; inoltre, pone una frattura insanabile tra il pensiero e l'essere, così come tra le parole e le cose , facendo crollare l'idea che esista un criterio di verità oggettivo: la credibilità delle affermazioni viene ancorata alla forza persuasiva delle parole e non più a una presunta verità riconoscibile e condivisibile da tutti.


UNA VISIONE TRAGICA DELL'ESISTENZA

Un'esemplificazione di queste tesi è rappresentata dal celebre Encomio di Elena, che costituisce un vero e proprio capolavoro di arte oratoria.L'intento dell'orazione è quello di dimostrare l'innocenza di Elena, moglie del re greco Menelao, che, soggiogata dall'amore per Paride, lo segue a Troia scatenando in tal modo la guerra. Come si può notare, il terzo caso riguarda il fascino esercitato su Elena dalle parole, le quali, quasi come droghe, possono «stregare» l'animo. La conclusione è che Elena non può essere condannata, essendo il suo comportamento frutto di un condizionamento che la priva del libero arbitrio e, pertanto, ne esclude la responsabilità. Socrate doveva essere una persona rigorosa ed equilibrata che, con ogni probabilità, era arrivata a uno stadio di perfezionamento psicologico e morale tale da non avvertire il conflitto, presente in ognuno, tra la ragione e gli istinti. Socrate è convinto che le azioni contrarie alle leggi siano inammissibili per colui che abbia una vera conoscenza di ciò che sta per compiere. 


LA VIRTÙ COME OBIETTIVO DELLA FILOSOFIA 

Chiarita la natura della virtù come conoscenza del bene, diventa più facile capire perché la virtù, per Socrate, è unica, cioè perché si può affermare che esista una virtù superiore alle altre: ogni singola qualità umana, infatti - il coraggio, l'audacia, la forza ecc. -, può essere considerata virtù solo in relazione alla particolare circostanza in cui si esplica, ed è la ragione che permette di discernere il bene del momento. Ad esempio, esse-esempio in politica) o per avere successo. Volendo riportare al presente la lezione dei sofisti, potremmo dire che il loro messaggio, secondo il quale le cose esistono in quanto percepite e narrate dall'uomo, metro e misura di tutto, è stato recepito fino in fondo dalla nostra società dell'immagine, in cui davvero, molto spesso, si fa dipendere l'esistenza dall'apparire. 


GLI SVILUPPI DELLA SOFISTICA

Prodico e l'arte dei sinonimi

A Gorgia non resta altro che concentrare l'attenzione sul linguaggio che,ormai sganciato da ogni rapporto con le cose e con gli uomini, viene misurato solo in relazione alla sua forza persuasiva, ovvero alla sua efficacia nel conquistare il consenso degli ascoltatori, visti come esseri passivi e inermi. Riteneva, infatti, che le parole avessero un'origine convenzionale, cioè che nascessero da un accordo dei popoli sui nomi da attribuire alle cose, e che attraverso l'indagine della loro storia si potesse ricostruire la civiltà delle varie comunità umane. La posizione di Prodico è di grande interesse filosofico, in quanto considera il mondo umano come frutto della cultura e del processo simbolico con cui l'uomo attribuisce significato alle cose.


Ippia, Antifonte e Trasimaco: il tema delle leggi

Vi è un altro ambito di riflessione che risulta essere tipico della sofistica e che viene dibattuto soprattutto nella fase immediatamente seguente la prima affermazione del movimento: quello dell'origine delle leggi, della loro validità e della loro continuità o meno rispetto alla natura. A differenza di Protagora, che - come emerge dal mito di Prometeo - riponeva il valore delle leggi proprio nella loro origine umana, essi teorizzarono la superiorità della legge di natura, immutabile re coraggiosi può risultare auspicabile in certe circostanze, ma è necessario anche saper desistere da un'azione eroica se in quel frangente lo richiede un dovere più alto e giudicato prioritario. Essa diventa l'obiettivo principale della filosofia intesa come realizzazione condivisa di quella ricerca razionale che può illuminare e guidare le azioni degli uomini. 


LA CURA DELL'ANIMA

Quanto abbiamo detto a proposito della vita morale trova la sua giustificazione ultima nella dottrina socratica dell'anima. Per Eraclito era energia vitale, sostanza aerea necessaria alla vita, parte del fuoco divino ed eterno. Soltanto con Socrate "psiche" diventa "anima", cioè vita interiore, centro dell'agire morale. A questo proposito, dobbiamo precisare che Socrate diceva di sentire nella sua anima la voce di un demone , il quale nei momenti decisivi della vita, più che suggerirgli che cosa doveva fare ,lo metteva in guardia da quello che doveva evitare. 

Il demone socratico è stato variamente interpretato dai critici, come la voce della coscienza etica e civile dell'uomo o come una guida interiore trascendente e divina. Socrate vede quindi nella cura dell'anima la più importante delle attività umane, per il semplice motivo che è l'anima ciò che qualifica l'uomo come tale. L'azione malvagia, andando contro la voce del demone che risuona in ogni anima, rende l'uomo cattivo e infelice allo stesso tempo, sgradito alla divinità e infermo rispetto alla sua salute spirituale. La conclusione socratica è che il vero male non è la morte del corpo, ma la morte dell'anima. Riprendendo questi concetti, Platone, nel dialogo Fedone, ci racconta l'ultimo giorno di vita di Socrate mentre, nel carcere ateniese, attende la morte con straordinaria calma e serenità. Secondo questi sofisti, in base alla legge di natura gli esseri umani sono tutti uguali, mentre le leggi e le consuetudini sociali mettono in atto ogni sorta di discriminazione e ineguaglianza. 


DALLA RETORICA ALL'ERISTICA

Essi confutavano con sottili e capziose disquisizioni le tesi dell'interlocutore senza preoccuparsi della loro intrinseca verità o falsità e senza tenere conto di alcuna considerazione morale. Slegato dal problema della verità e delle virtù civiche, il pensiero filosofico, con questi sofisti, subi un impoverimento. dicendo che il vero Socrate non è quello che sta per morire, ma quello che andrà a vivere lontano da quel luogo, finalmente sciolto dai condizionamenti e dai problemi materiali. Socrate lascia in eredità alla filosofia occidentale la prima concezione dell'anima come centro della personalità morale dell'uomo e la dottrina della cura dell'anima da perseguire attraverso la conoscenza e il dialogo. Abbiamo richiamato questa scena perché in un certo senso prefigura il dramma di Socrate, l'uomo giusto e saggio che nel 399 a. Prima di entrare nel merito del suo pensiero conviene soffermarci a riflettere su tale vicenda, che è così importante per la storia della filosofia da essere oggetto di continua discussione tra gli studiosi del pensiero antico. Per capire il processo a Socrate, intentato da un governo democratico, dobbiamo interrogarci sul personaggio Socrate, sul suo carattere e sulle sue qualità morali.

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